Possono piacere o meno, possono essere considerati meschini, teatrali, farse oppure divertenti, appassionanti, coinvolgenti, fatto sta che i talents hanno letteralmente invaso e dominato la scena musicale degli ultimi anni.
Nati agli albori del nuovo millennio si sono imposti su scala mondiale come unici scopritori di talenti canori a fronte di un’industria discografica che, opinione condivisa, sta andando letteralmente allo sfascio. Un’industria discografica che non può più permettersi flop, sperimentazioni, dischi mal riusciti e cantanti sconosciuti da lanciare sul mercato. Un’ industria discografica, insomma, che non ha alternative: vendere ciò che piace alla massa e ciò che decide la massa. Ecco che entra in scena il talent! Un format televisivo che attrae a sé milioni di spettatori, prevalentemente giovani, che spingono, a suon di televoti, il loro nuovo idolo verso l’agognata vittoria. Ma chi sono questi nuovi idoli? Gente comune con una buona voce che, alla ricerca dei famosi 15 minuti di notorietà millantati da Andy Warhol, si tuffa a capofitto nel magico mondo della televisione dove tutto è possibile, anche cambiare la propria personalità. Sì perché questi cantanti entrano “persone comuni” e, presi per mano da una serie di tutor–giudici despoti e urlanti, escono “pop stars” di caratura internazionale. Al diavolo la propria sostanza dunque; c’è da diventare famosi qui!
Fuochi fatui o astri nascenti dunque? A onor del vero bisogna dire che delle ultime 5 edizioni di Sanremo (non proprio un concorsino da quattro soldi) ben 4 sono state vinte da cantanti provenienti dai talents incrementando, se ancora ce ne fosse bisogno, il loro seguito di ammiratori. Sì, ma per quanto? Finché il talent successivo non sforna il nuovo idolo da mandare alla ribalta. Celebrità finché dura e finché la gente si ricorda di me dunque, cavalcando il più possibile l’onda del successo televisivo, radiofonico e popolare per poi dissolversi anche loro tutto d’un tratto al primo flop (dove sono finiti i vari Giusy Ferreri, Marco Carta e Valerio Scanù?). Si deve ammettere che oramai il talent (non solo quello musicale) è diventato l’unico mezzo disponibile per emergere dal qualunquismo e dimostrare il proprio valore (soprattutto in Italia). Intendiamoci, questa non è una critica al talent e a coloro che vi partecipano, è la mera costatazione delle attuali circostanze musicali. Se un tempo (neanche troppo remoto) per farti un nome nel mondo discografico dovevi fare la cosiddetta gavetta girando per i peggio locali e balere ora è tutto molto più diretto: vieni sbattuto su un palco di fronte a milioni di spettatori che giudicano il tuo “talento musicale” e decidono delle tue sorti come un imperatore romano di fronte al gladiatore.
Ma d’altra parte bisogna dare ragione anche a gente come Vecchioni che, con un certo tono di rassegnazione, dice «Se non ci fossero programmi come questi non scopriremmo parecchi talenti. Oggi non c’è altra maniera».