“Che fine hai fatto cantautore?” cantava nel 1995 Franco Califano. Se al tempo la domanda poteva risultare retorica, ora la questione è molto più scottante.”
Caro cantautore, che fine hai fatto? Anche tu stai assistendo inerme all’inevitabile tramonto tuo e dei tuoi colleghi per come vi conosciamo noi. Un pezzo di storia della canzone italiana che lento si dissolve lasciando dietro di se un solco che sono le tue canzoni. Le vostre canzoni. Canzoni stonate, cantate un po’ per noia e un po’ per diletto, un po’ per te stesso e un po’ per gli altri. Ma in fondo che cosa sei stato? Uno scapestrato, un finto colto, uno studente, un professore, un laureato, un figlio dei fiori, un buffone, un filosofo. In definitiva un cantante. Un cantante che non scriveva canzoni tanto per scrivere, ma scriveva delle preoccupazioni della gente con impegno sociale e politico. Scrivevi canzoni che andavano ben oltre i canoni della mera orecchiabilità del motivetto da far canticchiare alla gente. Scrivevi di lotte di classe e di utopie. Di ricordi e di illusioni. Di sbornie e di osterie. Di amore, di morte e di altre sciocchezze (come direbbe Guccini). Scrivevi con spirito romantico e, allo stesso tempo, disincantato. Scrivevi per vocazione e non per denaro.
Questo eri tu: una specie in via di estinzione. Oramai hai appeso il microfono al chiodo, hai passato il testimone a una serie di eredi “postmoderni”, chiamati anch’essi cantautori, degni o meno questo non sta a noi giudicare. Altre generazioni, altri tempi, altro pubblico, è vero. Oggi la gente non vuol più ascoltare testi impegnati e complessi, che magari richiamano al loro vivere quotidiano o monotone questioni sociali. Oggi c’è bisogno di altro: c’è bisogno di allegria, di felicità surreale, di voli pindarici che fanno sognare le persone. C’è bisogno di parole al vento, di facili rime da canzoni arrangiate e riarrangiate. Oggi la gente vuole evadere e il cantautore che sta coi piedi per terra è passato di moda. Oggi salire sul palco e chitarra in spalla non basta più, c’è bisogno del “Grande show” e tu, vecchio e ingrigito, non ti presti a questi giochetti mortificanti.
Che fine hai fatto cantautore? Ti sei rintanato nel tuo guscio fino alla fine dei tuoi giorni sfornando, di tanto in tanto, le tue ultime pillole di saggezza che ci ostiniamo a chiamare dischi. Hai salutato qualche collega, hai riposto la chitarra nella custodia e ti appresti a vivere la tua vecchiaia da pensionato.
Che fine hai fatto cantautore? Dove andranno a finire le tue canzoni? Dimenticate in cantina su qualche vinile impolverato? Oppure sui libri di letteratura come pegno di un passato che non dimentichiamo? O forse no. Forse hai ancora qualcosa da dirci. Forse, tra qualche anno, un disgraziato giradischi lasciato lì per sbaglio ci farà riascoltare gli innamorati in Piazza Grande di Dalla, le canzoni di notte di Guccini, i quattro amici al bar di Paoli, il pescatore assopito di De André, il cavallo che corre verso Samarcanda di Vecchioni. E ci ricorderemo di te, delle tue canzoni, dei tuoi tempi andati. Ci riporterai alla realtà in un mondo che con la realtà ha davvero poco a che fare.
E allora canta, canta ancora cantautore. Canta anche se gli altri non ti sentono, anche se la nostra società è ormai sorda alle tue provocazioni. Canta come hai sempre fatto: canzoni modeste, senza pretese, nella speranza che ci sia sempre qualcuno che ascolti. Nella speranza che i cantautori (quelli veri) tornino “di moda”.