L’uomo canta nei suoi mille linguaggi con il concerto dell’Orchestra di Piazza Vittorio, tra le venature del marmo, tra i solchi scavati dall’uomo nella pietra della montagna
13 settembre – Orchestra di Piazza Vittorio
Terrazze di marmo bianco avvolgono il palco e le rosse sedute calate in un paesaggio lunare. In lontananza si odono le voci emesse da piccoli altoparlanti che accompagnano gli ultimi spettatori raccontando la vita dei lavoratori di Cava Burgazzi lungo il bianco percorso che porta nella pancia della montagna.
In un luogo che oltrepassa il confine tra il sogno e la più concreta realtà, ha inizio la prima sera del Festival LeXGiornate, che ogni anno anima la città di Brescia con conferenze, dibattiti, eventi e concerti. Un Festival che, giunto alla tredicesima edizione, esplora il linguaggio dell’uomo in tutte le sue forme e porta l’arte oltre i luoghi consueti della musica coinvolgendo quei siti che sono “officine delle idee” in cui l’uomo immagina e trasforma il mondo attraverso i prodotti. La cava diventa così “il linguaggio dell’uomo che scava la montagna” e la musica si adagia in essa come racconto ed espressione di umanità. “La musica rappresenta l’elemento unificante, il catalizzatore d’emozioni attraverso cui nutrirsi e arricchirsi, animando un dibattito libero e senza confini; attraverso cui sondare nuove frontiere e nuove prospettive della fruizione artistica; attraverso cui aggiungere vita ai giorni, piuttosto che giorni alla vita.” Afferma il Maestro Daniele Alberti, pianista di fama internazionale e direttore artistico del festival.
E chi più del L’Orchestra di Piazza Vittorio può ben rappresentare questo incontro di vite e di espressioni? Un intreccio di culture e di memorie che cantano inni alla vita proprio là nella cava dove tante vite sono cadute e al tempo stesso tante storie sono nate. Più di undici musicisti sono sul palco, con tanto di direttore di orchestra. Batteria, fiati, le più moderne tastiere, chitarre e basso elettrici suonano insieme a percussioni di ogni tipo e strumenti a corde dalle fatture esotiche.
Silenzio, si inizia! Vibrano le corde facendo sussurrare il pubblico e le onde sonore corrono morbide lungo la dura parete di marmo. Si rincorrono melodie e ritmi che attraversano l’Africa subsahariana e il Maghreb insieme a canti arabi e ritmi della musica tradizionale occidentale. Un caldo filo rosso unisce il mediterraneo nelle sonorità antiche e moderne. E si attraversa poi l’oceano sino all’America del sud, con i flauti e i charangos delle Ande, le dolci chitarre brasiliane e le trombe cubane. I ritmi si muovono costantemente con piglio africano, sudamericano e ancora tarantelle, funky, blues e rock, sì perché, come ben ricorda il direttore dell’Orchestra di Piazza Vittorio, la musica contemporanea altro non è che una musica meticcia e contaminata.
Allora sintetizzatori e basse frequenze si sposano a una sorta di “arpa africana”, le lingue con i loro suoni e le loro consonanti si sposano fino a giungere alla “canzone senza parole”.
I musicisti continuano salgono e scendono dal palco, a sommarsi e alternarsi formando ogni volta un’orchestra diversa. E ogni volta emerge l’elemento umano e la storia di vita. Come quella del musicista che, dopo aver fondato l’orchestra, è tornato a vivere in Brasile, ma che non perde mai occasione di suonare con l’Orchestra. Quella del cubano, che per mantenersi faceva il gladiatore per le foto dei turisti al Colosseo. Il grande sorriso del percussionista senegalese e la storia di come il cantante di musica sacra scampò in Tunisia l’accusa di fondamentalismo presentandosi alla polizia ubriaco e accompagnato da due donne…”salvato dal peccato”.
E dove sono le donne? Mi assicurano che saranno numerosissime nella prossima opera in allestimento: Il Don Giovanni.
Mischiare linguaggi porta bellezza, mischiare culture porta bellezza!