Un road book sull’eternal boy Steven Patrick Morrissey meglio conosciuto semplicemente con il cognome Morrissey. L’autore Alessandro Angeli ripercorre la vita di Steven, dalla sua adolescenza in quel di Manchester, arrivando al declino dei suoi The Smiths, per concludere con la carriera solista partendo dal disco “You Are The Quarry”.
- Morrissey – The Eternal Boy” così titola il tuo libro edito per Ortica Edizioni, beh non posso che darti ragione in effetti…
Sì, Morrissey ha sempre avuto molta fascinazione per il mito della giovinezza, prima di iniziare la sua carriera musicale aveva pubblicato presso un piccolo editore un libro dal titolo James Dean is not Dead e anche nel mio libro la figura di Dean è centrale: quando il Morrissey adulto in tour e in crisi creativa ritorna attraverso il ricordo al tempo della sua adolescenza, Dean lo fissa dal poster appeso alla parete della sua camera per indicargli la strada. In realtà tutto il libro gioca sull’arte di restare giovani, nell’approccio al mondo e nel sentire, più che nell’aspetto esteriore. E’ un libro di viaggio al ritroso, dalla maturità all’età dell’incoscienza (sebbene nel racconto gli episodi possiedano un andamento cronologico inverso), tanto è vero che la narrazione si chiude proprio con l’esibizione live di There Is a Light That Never Goes Out.
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Sicuramente un riferimento per quanto riguarda l’indie britannico ma anche una sorta di “portavoce” della working class inglese, che ne pensi?
Certamente, per tornare alla sua formazione di paroliere e scrittore, hanno avuto una straordinaria importanza i film del kitchen-sink drama, un cinema impegnato sviluppatosi negli anni ’50 e ’60 del Novecento che mette a nudo la vita della classe operaia inglese e la gioventù arrabbiata dei sobborghi metropolitani. Penso a film come The Loneliness of the Long Distance Runner di Tony Richardson, questo è il substrato da cui prende vita la sua poetica.
- Personaggio a tratti schivo con un notevole senso di ripudio verso la celebrità e tutto quello che ne sussegue, perché?
Ho sempre amato i personaggi solitari, perché penso che le loro vite si prestino bene a essere raccontate con la narrativa, anche nei precedenti libri usciti con Ortica mi sono occupato di musicisti con un mondo interiore vivido, ma poco inclini alle relazioni personali e al profitto che ne deriva. Guthrie, Morrison, Strummer, non credo sarebbero stati molto social, si perdevano dentro loro stessi, perché la vera ricchezza sta lì, nelle viscere, per questo i loro lavori continuano a durare. Credo che anche Morrissey appartenga a questo filone, a quella schiera di musicisti che al profitto hanno anteposto la vera grandezza e l’autenticità dell’arte.
- In questo libro ripercorri la sua vita, parecchio tormentata, fino ad arrivare alla sua rinascita artistica. Cosa ti ha colpito in particolar modo e perché?
Ho lavorato a questi libri musicali tentando sempre di sviluppare una traccia narrativa, non si tratta di semplici biografie, ma di piccoli romanzi biografici e in ogni lavoro ho cercato di individuare un nodo cruciale da sviluppare narrativamente, per Morrissey si tratta del lungo periodo di silenzio che precede l’uscita di You Are The Quarry, sette lunghi anni in cui il protagonista del libro fa i conti con la sua vita passata e quella presente, un duro faccia a faccia con se stesso.
- Dopo lo scioglimento con gli Smiths porterà alla luce in versione solista tra gli altri “You Are The Quarry” un disco dalle sonorità pop. In che modo ha influito personalmente ed artisticamente per lui questo lavoro?
Be’ come si legge dalle varie recensioni è stato il disco della rinascita, arrivato in un momento di profonda crisi e rappresenta il più grande successo per quanto riguarda la sua carriera da solista e il fatto che abbia venduto oltre un milione di copie (più la mia) dal punto di vista narrativo non è così rilevante, anche se per lui penso che lo sia stato. In realtà, inizialmente il titolo di questo disco doveva essere anche il titolo del libro, per dirti quanto è centrale il tema della rinascita musicale di Morrissey nel racconto, ma alla fine abbiamo deciso di porre l’accento sul senso della gioventù ritrovata e credo che abbiamo fatto bene.