Max Manfredi si racconta in un’intervista in occasione della dodicesima edizione di Acoustic Franciacorta.
‘Mi trovo ora in una bella città, una vera bella città: Genova. Si cammina sul marmo, tutto è marmo: scale, balconi, palazzi. I suoi palazzi si susseguono fitti; passando per le vie, si scorgono grandi soffitti patrizi tutti dipinti e dorati’ Gustave Flaubert era rimasto colpito della bella città sul mare, la tua città. Ti ha influenzato in qualche modo la tua Genova?
Sì. Le scenografie di Genova, i suoi scorci (e sorci) sghembi, il suo aprirsi su orizzonti marini, le sue scalinate di pietra, il convivere delle testimonianze antiche e della rumenta, anche architettonica, attuale. E’ come aggirarsi in un set cinematografico. O un caleidoscopio dove ognuno vede quello che vuole. Inevitabilmente le sue immagini ricorrono anche nelle mie canzoni, a frammenti, però, anni luce però da qualsiasi velleità oleografica.
‘Il più bravo di tutti’ così ti ha definito il grande Fabrizio De André con il quale hai collaborato. Vuoi raccontarci il ricordo che hai nel cuore?
Alcuni ricordi. Non ci conoscevamo, però lui aveva sentito le mie canzoni attraverso un amico, Vanni Pierini. Io ero timidissimo, tanto che mi avvicinai a Fabrizio, in un piccolo teatro molto bello in cui lui aveva fatto una specie di conferenza stampa suonando, chissà perché, un paio di brani di musica classica con la chitarra. “Sono di una timidezza paralizzante”, gli ho detto. E lui “Non preoccuparti, anch’io”. Poi abbiamo cominciato a parlare. Da lì a poco avremmo inciso insieme la mia Fiera della Maddalena.
Nelle tue composizioni si percepiscono le influenze di diversi generi musicali. Proponi anche un repertorio di musica medievale, antica e folk rielaborando il patrimonio musicale della tradizione ligure con la formazione La Rionda. Tieni anche delle conferenze nelle scuole con la collaborazione dell’Accademia Viscontea. Cosa ti ha sedotto della musica medievale?
La suggestione poetica e sonora, ma anche il fatto che si trattava della canzone d’autore di allora. Poco importa che, nei suoi ambiti, non fosse nemmeno divisa dalla poesia. Era, a tutti gli effetti, intrattenimento e riflessione musicale e poetica. I miei antenati, insomma.
Suoni quindi strumenti antichi. Spiegaci le caratteristiche del tuo strumento antico preferito.
No, cantavo soltanto. Adesso non mi capita quasi più. Son diventato pigro, è già tanto se continuo a far canzoni in pubblico o, se capita, un poco di teatro. A volte facevo finta di accompagnarmi con un oud o una citola, strumenti a corda, come certe cantautrici dei tempi passati che mimavano di suonare la chitarra, credo per non saper come muovere le mani, ma più che altro cantavo. Bisogna imparare a interpretare l’antico francese, tedesco, inglese. Si canta molto in latino. Il mio strumento era, ed è, la voce. Di cui non sono un virtuoso, ma un attento utilizzatore. Con la chitarra invece mi accompagno discretamente, non sono un virtuoso dello strumento, ma un vizioso, sì.
Scrivi prima i testi o le melodie?
Domanda fatidica. Dipende. Di solito vengono insieme delle cellule ritmiche, poetiche e melodiche, che poi si estendono e formano la canzone. Altre volte vien la canzone già bell’e fatta. Altre volte ancora parto da un accenno musicale e lo elaboro, pochissime volte viene prima il testo. La canzone è artigianato ma anche arte, per cui non c’è una sequenza di regole precise. Anche in questo la canzone è anfibia, abita nel tempo e anche fuori dal tempo. Farlo capire a certi critici!
L’inquietudine è musa ispiratrice del tuo album più recente: Dremong. Questo sentimento era tipico nella letteratura del Novecento e aveva diverse sfumature come quella del disagio nell’esistenza dell’essere umano piuttosto che l’inquietudine per le Grandi Guerre; si pensi ad autori come Joseph Conrad, Fernando Pessoa, Giuseppe Ungaretti, Franz Kakfa, George Orwell fino al “Male di vivere” di Eugenio Montale. Da dove nasce questa tua inquietudine? Parlaci dell’album.
Spero che l’album si spieghi a sufficienza. Da sempre poeti, musicisti ma anche pittori hanno cantato l’inquietudine. Hanno cantato la gioia e il male di vivere. Più la melancolia che la gioia, in effetti. In certi casi la canzone è volta a produrre, in certo modo, gioia: è il caso di vari ballabili, o di certi raduni rock di un tempo. Dinamo, meccanismi di produzione di entusiasmo collettivo. La canzone può essere funzionale o contemplativa. Le mie sono da ascoltare in un rapporto il più possibile privilegiato, privato. Anche quando suono per il pubblico, e quindi il rapporto è comunitario. Però le mie canzoni vorrebbero essere fonte di uno spaesamento che porta a casa, un po’ come si guardano le stelle in cielo. La stella e il coyote, era un bel brano di Roversi e Dalla. Ecco, fra la stella e il coyote mi muovo io, per questo non accetto sfide.
Esprimi il tuo pensiero attraverso diverse forme d’arte: oltre alla musica ti occupi infatti di letteratura e teatro. I tuoi testi sono densi di significato. Attribuisci quindi molta importanza alla parola. Pensi che la parola abbia cambiato in qualche modo il suo ruolo in questo mondo dettato dagli schemi dei nuovi modi di fare comunicazione quali i social network?
I miei testi (che nelle canzoni sono in fusione con la musica) sono, mi auguro, densi di senso. Che non è il significato, o il cosiddetto significante, ma il loro insieme. Penso che la parola oggi sia impazzita come una maionese. Ma attenzione, l’arte supera la comunicazione. La comunicazione è chiacchiera estesa, rumore bianco. La parola non è solo strumento, ma anche fine a se stessa. La musica, a maggior ragione. C’è tanto inquinamento musicale e verbale, “comunicazionale”, d’altra parte c’è anche troppo inquinamento luminoso e ambientale. Questo contribuisce a creare, in persone non del tutto adattabili, quel disease, quell’inquietudine di cui si parlava prima. Ma spesso lo sfogo poetico contribuisce all’inquinamento.
Per la prima volta salirai sul palco di Acoustic Franciacorta e ci farai ascoltare Dremong accompagnato dalle chitarre di Luca Falomi. Parlaci di questa collaborazione.
Semplice. Suonavo con due bravissimi chitarristi, Matteo Nahum e Fabrizio Ugas. Per vari motivi ho dovuto sostituirli, e Matteo mi ha consigliato felicemente Luca Falomi, che già conoscevo un poco, e suona diversi strumenti, chitarre classiche ed elettriche, con grande abilità e gusto. A questo punto aspetto una rimpatriata per fare un bel quartetto di chitarre, cosa ardua ma affascinante dal punto di vista degli arrangiamenti. Nel frattempo vado in giro con lui e, quando posso, anche con altri musicisti. Posso lamentarmi di tante cose, nella mia attività, ma coi musicisti son sempre stato piuttosto fortunato.
Stai collaborando anche con Giorgio Licalzi per un nuovo progetto. Puoi raccontarci di cosa si tratta?
È un progetto interessantissimo. Per la prima volta non mi occupo personalmente delle musiche, e penso esclusivamente alla parte poetica (casomai ritmico-melodica). In più, le canzoni sono scritte in un linguaggio tagliente, insieme colloquiale e delirante, mentre le musiche echeggiano al pop (per l’amor di Dio, non quello italiano!), un “pop” senza anagrafe. In più la voce della figlia di Giorgio Li Calzi, Anita, che credo abbia dieci anni – ci mettiamo tanto tempo a lavorare a questo disco che non ricordo più quanto ne è passato dagli inizi- seduce e inquieta come in un film dell’orrore. Chitarre elettriche, tastiere, basso e batteria – e le voci – sono commentate, quasi guidate, dalla tromba, spesso sordinata, di Li Calzi. Qualcosa di assolutamente “non italiano”, come si diceva in una nota serie televisiva. La canzone italiana attuale la chiamano “pop”, ma ha rischiato di essere pop solo negli anni ’70. Poi è diventata, almeno nella maggior parte dei casi, semplicemente “kitsch”.
Visita il sito ufficiale di Max Manfredi.
ACOUSTIC FRANCIACORTA
Oggi, giovedì 27 agosto presso Borgo Santa Giulia di CORTE FRANCA:
ore 18.30 – incontro con Luca Falomi e le chitarre del liutaio Fabio Bonardi
ore 21.00 – concerto con Luca Falomi (fingerstyle jazz), Max Manfredi duo (canzone d’autore) e Musica Da Ripostiglio (manouche)
Visita il sito web del Festival!